[ Laterza, Roma-Bari 2013 ]
Fatti e norme venne pubblicato in Germania nel ’92 e apparve in Italia nel ’96: «una vera fortuna», dichiara il traduttore per se stesso, e, aggiungiamo noi, per il lettore italiano, «poter tornare dopo sedici anni sulla primitiva versione per eseguirla daccapo» (p. XIV); fortuna ulteriore, giacché la nuova edizione italiana accoglie un’inedita prefazione di Habermas, nonché la Postfazione aggiunta dall’autore nel ’94, e ormai parte integrante del libro. Nel ’96, a ben vedere, l’Italia sembrava prestarsi come terreno estremamente fertile per accogliere la nuova fatica habermasiana, un libro che poneva al centro della sua riflessione il funzionamento della democrazia, le regole di rappresentatività e il ruolo dei mezzi di comunicazione all’interno degli stati nazionali (fondamentalmente occidentali), già proiettati verso dimensioni sovranazionali (UE e ONU), ma anche verso un vassallaggio nei confronti della grande economia finanziaria (secondo un cammino che ha ribaltato il capitalismo di stato e regolato dallo stato).
Fatte le dovute eccezioni, un certo provincialismo tipicamente italiano ha eretto un muro impermeabile nei confronti di Fatti e norme, impedendone un adeguato assorbimento nella cultura nostrana (e della scarsa ricezione si rammarica lo stesso Habermas nella Prefazione): del resto l’area marxista e post marxista guardò con sospetto ad un Habermas che dialogava più con Rawls che non con Adorno, Horkheimer e al limite Apel, mentre liberisti veri e camuffati si astennero dal prendere contatto con un libro che suonava un vigoroso campanello d’allarme contro la de-relegulation, proponendo, anche nel dettaglio, la via per una re-regulation. Fatti e norme si pone l’ambizioso compito di applicare la teoria discorsiva al diritto, al funzionamento della macchina statale, alla regolamentazione delle istituzioni politiche («la produzione del diritto s’intreccia ora alla formazione di potere comunicativo», p. 184).
Alla base dell’intuizione habermasiana è l’idea della co-originarietà di diritti umani (ossia la morale) e sovranità popolare (la democrazia): questi due poli infatti non costituiscono due entità sovrapponibili – sicché la prima regola la seconda dettandole le leggi – ma rimangono distinti. Una separazione, questa, che però non implica una reciproca estraneità: al contrario una continua interazione – di tipo dialettico – tra le due sfere conduce a continui correttivi, secondo un meccanismo che a volte, in non poche pagine, assume tratti teleologici e toni tipicamente hegeliani. Il nodo su cui Habermas gioca la sua partita è quello della partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico, non solo al fine di acquisire una più piena coscienza delle questioni in corso, ma soprattutto per sviluppare la capacità – da parte della comunità – di introdurre nella sfera universale del diritto esigenze e convinzioni personali di chiara derivazione soggettiva (nonché di evidente impronta morale).
Ora, tale meccanismo democratico può funzionare solo se i mezzi di comunicazione e di partecipazione pubblica sono quanto più inclusivi possibile: non tanto da un punto di vista meramente quantitativo (per esprimerci con una facile allusione, non è sufficiente un blog che dia libero accesso a garantire pari opportunità di partecipazione), quanto e soprattutto qualitativo, ossia una progressiva conquista della parola cosciente – e del «livello discorsivo» (p. 340) – da parte di singoli e di associazioni. Solo attraverso tale «prassi comune […] le elezioni politiche sono qualcosa di diverso da inchieste demoscopiche » (p. V), e diventano vincolo per il legislatore, nonché sua base d’appoggio e sua garanzia per l’azione parlamentare. «È il processo democratico a reggere l’intero onere della legittimazione» (p. 504): ossia a fare in modo che le leggi siano sorrette dalla morale, della quale però compensano le costitutive «insufficienze funzionali» (p. 507). È questa l’unica via, secondo Habermas, che permette di ridurre lo iato strutturale, ma al tempo stesso vitale e prolifico, tra fattualità e validità (ricorrendo alla traduzione letterale del titolo).
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